Esercizi di buio
Ci vuole del coraggio per addentrarsi nel buio, nell’abisso profondo, per scandagliare l’orrore arrivando a scoprire che il male viene da dentro e non da fuori. Nicola Lagioia ci è riuscito in pieno. Non si può restare indifferenti alla lettura de La città dei vivi. E’ come se una spirale discendente, un gorgo si aprisse e tentasse di risucchiarti dentro: cerchi di venire fuori da questa sensazione di disagio, di fastidio, di malessere, ed inizi con il solito teatrino dell’attribuzione all’esterno delle responsabilità. E’ colpa dell’uso smisurato di alcool e droga, è colpa dei genitori e della società incapaci di trasmettere alle nuove generazioni dei sani valori in cui credere, è colpa della noia che avviluppa questi giovani smidollati fino a renderli dei mostri.
E poi c’è Roma, l’eterna.
E’ stato Marco il subdolo manipolatore, no è stato il ruvido, debole e marginale Manuel che invece di uccidere il padre come nelle più tradizionali tragedie, se la prende con un emerito sconosciuto e sfoga tutta la sua rabbia repressa come se vomitasse bile. Però anche Luca la vittima se l’è proprio andata a cercare, ha provocato una reazione autodistruttiva per interposta persona. Fragile, ignorante, la sua doppia vita lo ha masticato come un cane fa con l’osso, e lo ha annientato ancora prima della morte atroce, lo ha reso un fantoccio inanimato anche quando i carnefici gli camminano addosso e lui è ancora vivo.
E poi c’è Roma, che ti seduce con la sua grande bellezza e poi ti prende a schiaffi.
Il senso di colpa è strisciante, si insinua dentro. L’istinto è quello di sputarlo fuori, in faccia ai genitori, sul muso logoro di questa società che confonde il progresso con lo sviluppo, alle nostre sbrindellate istituzioni. Ma l’istinto vero, quello di autoconservazione ha il sopravvento e si corre il rischio di finire stritolati dalla becera inconsapevolezza. Non esiste un movente razionale.
E poi c’è Roma, una battona notturna conturbante e zozza.
Questa volta non si tratta solo di mettersi nei panni dei carnefici ma è capire che i carnefici siamo proprio noi, che per una serie di coincidenze abbiamo schivato l’ostacolo però il seme dell’inquietudine ci è rimasto dentro. Lo spiega molto bene anche Edoardo Albinati ne La scuola cattolica. I mostri del Circeo non li ha solo conosciuti, il giovane Edoardo ha respirato la stessa aria mefitica, ha sfiorato l’abisso.
E poi c’è ancora e sempre Roma, attrazione e repulsione, un destino.
Credo che anche questo sia uno dei compiti della grande letteratura: scuotere le coscienze nel profondo, tormentare, dare fastidio. Così come nelle tragedie greche l’effetto catartico tanto auspicato, latente, nascosto, potrà farci visita e sussurrarci all’orecchio di notte: “E’ tutto vero…”
E poi c’è Roma.