Le nuvole di Sucre sono le più provvidenziali che abbia mai incontrato: bianche accecanti fanno da contrasto al cielo blu intenso e riparano dal sole che a queste altezze può essere pericoloso. In un attimo diventano nere e minacciose con tuoni e lampi e scrosci improvvisi di pioggia che però è sempre piacevole. Le nuvole di Sucre sono state una cornice perfetta in questo mio soggiorno. Le case, le chiese, i campanili, i mirador, i palazzi si stagliano bianchi come se riflettessero le nuvole. Arrivo a Sucre con solo poco più di un’ora di ritardo in autobus, e mi si apre il cuore. René, il mio host, è venuto a prendermi per accompagnarmi all’alloggio. Questa città è meravigliosa. Poco meno di 400.000 abitanti, 2.800 metri di altitudine, coloniale, bianca che quasi abbaglia. Tante cose da vedere e anche il tempo per “descansar” (incomincio ad averne bisogno). Pochi lo sanno, io per esempio non lo sapevo, ma è la capitale della Bolivia insieme a La Paz, Sucre è la sede del potere giudiziario e di tanta storia. Qui, nel Palacio de La Libertad è conservata l’originale Costituzione del 1880, qui c’è la campana di una delle tante chiese che è stata addirittura rotta a forza di battere nel giorno del raggiungimento dell’indipendenza, il 6 agosto 1825. Tanti sono i posti che mi affascinano e mi incantano; innanzitutto è un bene protetto dall’Unesco, fondata nel 1538 dagli spagnoli, è in questa città che viene dichiarata l’indipendenza della Bolivia; ha preso questo nome in onore di Antonio José de Sucre, eroe della battaglia di Ayacucho, contro i dominatori spagnoli. Io nell’ordine ho visitato, oltre alla Plaza 25 Mayo con la Casa de La Libertad e la Cattedrale, la Plaza de La Recoleta con il suo spettacolare mirador ed il Museo dei Frati Francescani, interessantissimo. Il Cimitero General, una tappa fissa per capire molto di questa città andina e della sua gente. Sono stata anche al Museo Coloniale de Chacras (nome originario della città), all’Antropologico, a quello di Arte Contemporanea e al Museo Costumbrista. Ho fatto una doverosa visita al coloratissimo e caotico Mercato Central, e sono letteralmente rimasta incantata al Collegio e al Temple de San Felipe Neri, dove dai suoi tetti e complici le nuvole, scatto delle foto meravigliose. In Bolivia in generale e anche a Sucre c’è molta povertà: ad ogni angolo tantissime donne con i tipici vestiti colorati, i copricapo, le lunghe trecce nere, ma anche uomini e purtroppo bambini, chiedono l’elemosina o vendono improbabili prodotti alimentari, sonnecchiando spesso accovacciati a terra. Moltissimi taxi sgangherata nelle strette strade a sali e scendi, così come gli autobus e i pickup privati carichi di gente nei cassoni posteriori, danno spesso l’immagine di un posto caotico, a tratti sporco e inquinato, ma io so che non è solo così.
Infatti il mio primo impatto con la Bolivia non è stato dei migliori. Sono partita da San Pedro de Atacama (Cile) di mattina, con i soliti autobus. Forse eravamo in tre o quattro; caldo e soliti paesaggi desertici. All’ora di pranzo (ancora più caldo) il bus approda in una caotica cittadina e ci fanno scendere, dicono, per mezz’ora. Mi incammino sotto il sole cocente e una ressa da bazar per due o tre strade, dove ci sono dei negozi improponibili per noi europei, pieni di roba di dubbio gusto che addirittura in certi punti diventano dei mercati coperti (vestiti di tulle e paiettes, scarpe che sembrano usate, giocattoli, frutta, fritti, verdure). Quando ritorno in quella specie di piccolo terminal autobus, il mio non si vede, e quando finalmente ripartiamo, scopro che il mio bagaglio è rimasto su di un altro. Andiamo a recuperarlo attraversando strade trafficate, brutte e caotiche di questa città che si chiama Calama. Dopo ore arriviamo alla frontiera, in un paesaggio che da deserto di sale si fa sempre più montuoso, sempre comunque povero e squallido; le strade non sono asfaltate. È ormai notte quando arrivo a Ujuni: non esiste il terminal, solo una strada incasinata con gente che urla e tante piccole “agenzie”. Io devo ripartire con mia somma gioia per Sucre la mattina successiva, ma trovare il biglietto ed acquistarlo è davvero un’impresa. Risparmio i particolari, senza contare l’avventura della ricerca dell’hostal, prenotato da tempo. Non vedo l’ora di andarmene da questo posto che è solo la base da cui partire per visitare il famoso Salar, con escursioni turistiche di cui io per il momento sono stufa e stanca. Al mattino la partenza da quella specie di terminal è con la solita gente che urla e promuove i viaggi. La meta Potosi va per la maggiore, anche io ci devo passare per arrivare a Sucre. Potosi è stata la città più ricca di quasi tutto il Sud America nel 1700. Le sue miniere d’oro erano un richiamo fortissimo. Quello che ho visto io è una città molto brutta incastrata tra i monti, fatta di palazzi quasi tutti mezzo costruiti, cumuli di immondizia, gente povera e spesso ubriaca. Faccio un viaggio non confortevole con una giovane donna e due bambini seduta accanto a me, con la quale non scambio neanche una parola, per non dire degli altri passeggeri. Non parlano spagnolo, forse quechua. Ma finalmente, con solo un’ora di ritardo, arrivo a Sucre e mi si apre il cuore.
Bellissimo. Bellissimo. Questo sarà un gran bel capitolo del tuo libro.
Besos mi hermana 😘😘😘
Grazie Manu!!! I tuoi commenti per me sono importantissimi. Besos my hermana😘😘😘