Nuovo pezzo su Salta per La Sesia.
Anche a Salta si sta proprio bene. È la mia ultima tappa in Argentina e mi sento un po’ nostalgica. Il fatto di dovere e di volere andare sempre avanti nel mio viaggio ha in sé anche le ansie tipiche che danno le incognite; questo fa apprezzare al massimo il presente, gli attimi che si vivono. Salta, che in Italia non è molto conosciuta, per chi fa un viaggio in Argentina è una tappa obbligatoria. Da qui si parte per delle meravigliose escursioni come quella alle Salinas Grandes, ed inoltre offre tantissimi punti di interesse. Si trova a 1.150 metri di altitudine nel nord-ovest del Paese, ha circa 700.000 abitanti, popolazione costantemente in crescita, hanno tutti almeno tre o quattro figli; è una ricca città coloniale e anche per questo è molto devota. La Cattedrale, la Basilica di San Francisco, il più antico Convento di San Bernardo e le altre chiese lo testimoniano. Pensate che normalmente più di 300 persone partecipano alla gestione come volontari della sola Cattedrale, e che in prossimità della Festa de la Virgen del Milagro a Settembre, in migliaia aiutano nell’organizzazione di questo evento! Ma oltre alla religiosità, anche la storia, l’arte e la cultura svolgono un importante ruolo. Resto decisamente sconvolta dalla visita al Museo di Archeologia e di Alta Montagna, dove sono conservate ed esposte ciclicamente le mummie di due bambini, un maschio e una femmina rispettivamente di 7 e 6 anni, e di una ragazzina di 15, risalenti a più di 500 anni fa. Sono state ritrovate sul Vulcano Lluillaillaco, a 6.700 metri di altitudine, nel 1999. Si tratta di una testimonianza unica e veramente impressionante di una cerimonia Incas, la Capococha, in onore del Sole, per la quale sono state offerte in sacrificio le vite di centinaia di bambini. Avere ritrovato queste mummie perfettamente conservate ha permesso di capire molti particolari, alcuni davvero raccapriccianti. I piccoli erano considerati dei privilegiati, scelti tra i più belli e sani, nutriti bene e trattati con mille cure, prima di intraprendere il lunghissimo viaggio nel sito sacro di Cuzco, a 1.700 chilometri di distanza, ed infine partivano per la scalata al Vulcano. Una volta arrivati a 6.700 metri ( masticando foglie di coca per l’altura e bevendo una birra di mais che li stordiva), spesso semincoscienti venivano legati e depositi in buchi con accanto numerosi oggetti di culto. Così morivano nella maggior parte dei casi di ipotermia. Resto veramente senza parole e sconvolta di fronte a questo rituale che a noi oggi non può che sembrare macabro ed inaccettabile. Cerco di raccontare altro ma è difficile: faccio una bella passeggiata lungo i 1070 gradini che portano in cima al Cerro San Bernardo a 1.450 metri, da cui si gode di una bella vista su tutta la città. Il giorno dopo parto con il solito autobus per Purmamarca e Tilcara. Più di quattro ore per arrivare in un piccolo paesino rosa e bianco, amenamente accoccolato tra montagne di forme e soprattutto colori straordinari: rossi, verdi, grigi e bianchi diversi si alternano come delle pennellate potenti di un artista geniale. Conosco in viaggio alcuni ragazzi di Baires, con i quali chiacchiero piacevolmente, tra cui Carla e Nicolas, autori di teatro. Parliamo di Italia, di viaggi, di Buenos Aires. Faccio anche una bella escursione nella Riserva naturale de Las Conchas fino a Cafayate, un paesino conosciuto per le sue bodegas che producono vini di buona qualità come il rosso Malbec e il bianco Torrontes. A me colpiscono soprattutto i paesaggi incredibili della Garganta del Diablo, dell’Anfiteatro, delle Tres Cruces ed altri a perdita d’occhio, in un’immensita’ fatta di formazioni rocciose imponenti rossissime come il fuoco, con striature dorate abbaglianti, dove anche i tronchi degli arbusti sono di un verde brillante; i cactus dalle forme più diverse che, come dice la guida, muoiono in piedi. E anche le sparute persone che vivono da queste parti, in un modo che dire spartano è dire poco: producono oggetti di artigianato e li vendono alla gente che passa di qui, stanno in abitazioni che sono poco più di capanne, senza elettricità (a volte vedo qualche pannello solare), senza acqua corrente. Mi fanno riflettere sul fatto che debba sicuramente esserci una giusta via di mezzo tra il nostro desiderio di sempre maggiori comodità e la vita povera, semplicissima, di una grandissima fetta di umanità.